I pochi nuovi investimenti odierni seguono regole e logiche ben differenti da quelle di una volta; oggi si distinguono nettamente le parti produttive da quelle abitative; al contrario la dimora ideata e costruita dall’alpigiano era generalmente rappresentata da un unico funzionale ensemble architettonico: la caratteristica cascina rurale.
Non si trova molta letteratura circa l’utilizzo agricolo della Valle, anche per il fatto che fino attorno all’anno Mille, non si hanno notizie del sorgere di villaggi; probabilmente qualche forma sporadica di insediamento può essere ipotizzata, in quanto si ha la certezza che nelle valli di Pezzaze e di Bovegno venivano sfruttati i giacimenti di minerale già in epoca romana (condannati ad metalla).
L’attività estrattiva del ferro, diffusa nell’alta valle, nacque e si sviluppò in commistione con l’attività agricola e con la partecipazione dell’intera famiglia (l’uomo lavorava in miniera e la donna con i figli si dedicavano alle coltivazioni e all’allevamento ); questa struttura economico-sociale è durata nel corso dei secoli fino a giungere praticamente ai giorni nostri, costituendo la trave portante del sistema di sopravvivenza dei nostri avi.
Come già accennato gli edifici sono strutturalmente classificabili come cascine della bassa valle, costruite prevalentemente con l’uso di mattoni in cotto, e dell’alta valle, realizzate in pietra e legno.
L’aspetto di queste ultime è quello caratteristico con il tetto a doppio spiovente, a finire sui due lati poco sopra il livello del terreno, generalmente costruite su un basamento di notevole spessore in pietra locale, con travature e tetto in legno e copertura in coppi o pietra. La soletta intermedia, sempre in legno, divideva la stalla dal fienile, o i locali di lavorazione del latte da quelli di abitazione dell’agricoltore. Il pavimento era in terra battuta e/o in arricciato di pietre. I locali al piano inferiore prevedevano in successione longitudinale:
In collegamento con la stalla, normalmente erano previsti i due locali di servizio: da un lato la zona abitativa, la cucina tuttofare, dove spiccava il fuoco a legna sul quale in alternanza si cuoceva il cibo (polenta, minestre e qualcosa alla griglia) e si riscaldava il latte e si cuoceva il formaggio. Il fuoco era generalmente generoso in modo che potesse ospitare sia il piccolo paiolo per gli alimenti, normalmente attaccato ad una catena che scendeva dal camino e permetteva di decidere a quale altezza dal fuoco posizionare il paiolo, sia la caldera per il latte, che veniva (viene) posizionata su un braccio di legno girevole dall’architettura che ricorda una forca in miniatura (il Segàgn), in modo da permettere di spostarla agevolmente (le caldere in rame per la lavorazione del latte posso ospitare anche 3 e persino 5 qli di liquido) dentro e fuori dal fuoco in un balletto legato ai diversi momenti dettati dalla tecnica di lavorazione (riscaldamento, cagliatura, cottura e formatura del formaggio).
In continuità con la cucina si trovava poi il locale dedicato all’affioramento del latte, dove normalmente veniva lavorato anche il burro, utilizzando le caratteristiche zangole in legno con movimento rotatorio meccanico, prima manuale e in seguito azionate con motore elettrico.
Questo locale era caratterizzato dall’essere il più fresco della cascina, proprio per mantenere il latte a temperature accettabili durante il periodo più o meno lungo della sosta in bacinella (dalle 12 alle 48 ore normalmente); per aumentarne la resa termica, spesso era caratterizzato da aperture strette e verticali con una struttura che richiama l’effetto Venturi delle monoposto di F1 degli anni ’90 del secolo scorso, utile ad accelerare il movimento dell’aria e facilitare il raffrescamento dell’ambiente.
Infine la cascina ospitava, il sancta sanctorum, il silter, il magazzino di stagionatura del prodotto: anche questo posto, generalmente a nord, seminterrato, fresco il più possibile, ma senza aperture vistose, proprio per evitare dannose correnti d’aria, nocive alla struttura del formaggio in maturazione.
Da circa un trentennio il mondo rurale montano ha iniziato il suo rapido dissolvimento, a causa dell’avanzare degli insediamenti industriali e di quelli del turismo di massa; l’evoluzione economica e sociale, con il crescere delle fabbriche in ogni fondovalle, ha portato all’abbandono dei fabbricati rurali, soprattutto di quelli posti alle quote più alte, il cui utilizzo risulta più arduo e dispendioso. Mantengono l’uso originale quelli a ridosso degli abitati, dove l’anziano riesce ancora ad accudire il bestiame e il figlio lo aiuta dopo il turno in fabbrica.
Questo abbandono della montagna, nel suo aspetto rurale, comporta non solamente la rovina dell’edificio come elemento architettonico, ma il degrado dell’intero sistema, inteso come il territorio e la cultura che gravitano sulla cascina; l’abbandono delle malghe e delle cascine costituisce, in altre parole, la perdita della memoria storica e culturale della civiltà contadina della nostra montagna, ma anche un insostituibile elemento di salvaguardia del territorio, soprattutto dal punto di vista idrogeologico.
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